Nel XVI secolo il conte Muzio Tuttavilla commissionò lavori di bonifica nella valle del fiume Sarno con lo scopo di scavare un canale. Durante gli scavi, l’architetto Fontana trovò alcuni edifici con pareti decorate nella zona conosciuta come ‘Collina della Civita’. Questo ritrovamento fu documentato e lasciato lì, e i lavori per il canale continuarono. Gli scavi a Pompei ricominciarono nel 1748 sotto il regno di Carlo di Borbone, mentre gli scavi già in corso a Ercolano erano forieri di scoperte sensazionali. Gli scavi di Pompei furono uno sforzo monumentale, con risorse convogliate nel più grande lavoro di scavo mai realizzato. Con alcune brevi interruzioni, si è continuato fino ad oggi. Mentre Ercolano era coperta da una colata di fango, gli scavi a Pompei fecero migliori progressi perché era molto più difficile rimuovere la coltre indurita di fango solidificato che scavare Pompei dagli strati di cenere e pietre lapilli.
L’interesse per le ricerche a Pompei ricevette nuovo vigore quando, tra il 1806 e il 1832, furono rinvenuti molti degli edifici intorno al Foro e alcune delle case prestigiose.
Nel 1860 Giuseppe Fiorelli fu nominato direttore del sito archeologico di Pompei e introdusse per primo una metodologia che univa la scoperta al concetto di conservazione. Questa tecnica fu applicata a tutti gli scavi in corso, che da allora in poi non furono più ispirati dal solo desiderio di trovare oggetti preziosi ed edifici importanti.
Per la prima volta il desiderio di far rivivere una delle più grandi città della storia portò a scavi razionali e ben pianificati casa per casa. Fu introdotta una tecnica di scavo che iniziava a livello del tetto e scendeva verso il pavimento strato per strato, per evitare che gli edifici crollassero verso l’esterno sulle strade precedentemente scavate.
Un’importante fase di ricerca seguì tra il 1875 e il 1893 sotto la direzione dell’architetto Michele Ruggiero. Furono scoperte molte insulae e numerose case nelle zone denominate “REGIO V”, “REGIO VIII” e “REGIO IX” ma, soprattutto, iniziarono i lavori di restauro degli oltre cinquecento affreschi rinvenuti sulle pareti delle case.
I lavori attraversarono una fase delicata sotto la direzione di Vittorio Spinazzola e gli scavi effettuati tra il 1910 e il 1924 si concentrarono sulle zone meridionali della città. L’obiettivo era quello di riportare alla luce l’intero tratto della strada principale, via dell’Abbondanza, portando alla luce le facciate degli edifici che la costeggiavano e che univano l’Anfiteatro al Foro. Questo causò problemi di contenimento delle facciate degli edifici in quanto ormai sottoposte alla pressione delle grandi quantità di cenere al loro interno.
Inoltre, il fatto che i ricercatori trovassero continuamente oggetti interessanti faceva sì che a volte iniziassero a scavare nelle insulae per pura curiosità per poi abbandonarle. Così oggi troviamo diverse case che sono state scavate solo parzialmente. Poi venne l’archeologo Amedeo Maiuri che fu responsabile della scoperta di molti oggetti tra il 1924 e il 1961 e, soprattutto, autore di numerosi studi e interpretazioni fondamentali. È grazie a lui che sono stati scritti molti capitoli importanti in quel grande libro di archeologia che chiamiamo Pompei.
Giuseppe Spano, figura del mondo accademico che lavorò come direttore degli scavi archeologici durante la soprintendenza di Maiuri, fu autore di molte opere che hanno aiutato a comprendere la storia degli insediamenti intorno al Vesuvio.
Il periodo contemporaneo è stato caratterizzato non solo da nuove scoperte, ma anche da gravi problemi di conservazione di quanto ritrovato in passato (indipendentemente dallo stato dell’economia nazionale lo Stato italiano si è dimostrato molto restio a spendere denaro pubblico in questo settore), e dalla necessità di aprire nuovi capitoli della storia di Pompei nell’ambito di un approccio interdisciplinare

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